Marocco Street Food, un archetipo medioevale
Ecco il mio articolo pubblicato su Honest Cooking...
Il Marocco ti rimane dentro l’anima, cucito addosso.
A Marrakesh non avete il tempo di testare lo spirito di adattamento, perché sarete invasi dai profumi delle spezie, abbagliati dai colori utilizzati dagli artigiani locali per la creazione di tessuti e tappeti e verrete travolti, come dai tori a Pamplona durante la festa di San Firmino, dall’affascinante caos del suk alla ricerca del souvenir adatto allo stile di casa vostra.
Ma Marrakesh è anche l’accecante Blu Majorelle dell’omonima proprietà di Yves Saint Laurent. E’ l’odore prepotente delle concerie. E’ il groviglio di vicoli in cui rimpiangi di non aver messo in valigia una bussola, maledicendo la tua mancanza di senso dell’orientamento. E’ movimento, è flusso, è vita… Accompagnati dalle melodie degli incantatori di serpenti e dal vocio dei venditori ambulanti di piazza Jemaâ El Fna, vi troverete a sorseggiare un caldo e dissetante tè alla menta, nonostante i 35 gradi all’ombra, immersi nell’atmosfera unica della Medina nell’ora pomeridiana.
Nel tardo pomeriggio quando all’imbrunire la piazza diventa palcoscenico dello street food locale, i profumi nell’aria e il fumo dei bracieri in festa ti solleticano dispettosamente lo stomaco. Sfiniti dalla giornata nel suk, non vedrete l’ora di rinfrancarvi con un piatto tipico, colorato e speziato. L’incredibile e azzeccata commistione di dolce e salato e l’abbondanza di tanti piatti in un solo tavolo ti catapultano in un mondo lontano dalle nostre tradizioni culinarie.
Ciò che affascina della cucina marocchina, apparentemente diversa da quella a cui siamo abituati, è che si tratta di un archetipo culinario che affonda le proprie radici nella nostra tradizione medievale, in cui il concetto di “primi”, “secondi” etc.. non si era ancora radicato e mangiare con le mani era di uso comune.
E non solo…Se ci si sofferma poi sui sapori, l’uso cospicuo di spezie e le note agrodolci dei piatti ci rimandano alle pietanze che imbandivano i sontuosi banchetti delle corti durante il Medioevo e fino al Rinascimento.
Ecco allora miele e frutta secca, aceto e zucchero, cannella, zafferano e spezie di ogni sorta, retaggio di un periodo della storia dell’alimentazione che in Italia ebbe fortuna nelle regioni centrali e che si diffuse poi anche nelle zone mediterranee.
Non a caso molti degli aspetti che contraddistinguono la cucina maghrebina, si ritrovano ancora oggi nella Sicilia occidentale: l’uso del sesamo, della cannella, delle melanzane, la preparazione del cous cous e del brick (pasta fillo farcita di carne, pesce o verdure) e molto altro.
Tornati dal Marocco si ha l’incredibile sensazione di collegare un colore ad un profumo, di avere ancora quella ammaliante sensazione di perdersi fra i vicoli, di sentire il calore sulla pelle e l’odore di menta.
Il Marocco ti rimane dentro l’anima, cucito addosso.
Il Marocco ti rimane dentro l’anima, cucito addosso.
A Marrakesh non avete il tempo di testare lo spirito di adattamento, perché sarete invasi dai profumi delle spezie, abbagliati dai colori utilizzati dagli artigiani locali per la creazione di tessuti e tappeti e verrete travolti, come dai tori a Pamplona durante la festa di San Firmino, dall’affascinante caos del suk alla ricerca del souvenir adatto allo stile di casa vostra.
Ma Marrakesh è anche l’accecante Blu Majorelle dell’omonima proprietà di Yves Saint Laurent. E’ l’odore prepotente delle concerie. E’ il groviglio di vicoli in cui rimpiangi di non aver messo in valigia una bussola, maledicendo la tua mancanza di senso dell’orientamento. E’ movimento, è flusso, è vita… Accompagnati dalle melodie degli incantatori di serpenti e dal vocio dei venditori ambulanti di piazza Jemaâ El Fna, vi troverete a sorseggiare un caldo e dissetante tè alla menta, nonostante i 35 gradi all’ombra, immersi nell’atmosfera unica della Medina nell’ora pomeridiana.
Nel tardo pomeriggio quando all’imbrunire la piazza diventa palcoscenico dello street food locale, i profumi nell’aria e il fumo dei bracieri in festa ti solleticano dispettosamente lo stomaco. Sfiniti dalla giornata nel suk, non vedrete l’ora di rinfrancarvi con un piatto tipico, colorato e speziato. L’incredibile e azzeccata commistione di dolce e salato e l’abbondanza di tanti piatti in un solo tavolo ti catapultano in un mondo lontano dalle nostre tradizioni culinarie.
Ciò che affascina della cucina marocchina, apparentemente diversa da quella a cui siamo abituati, è che si tratta di un archetipo culinario che affonda le proprie radici nella nostra tradizione medievale, in cui il concetto di “primi”, “secondi” etc.. non si era ancora radicato e mangiare con le mani era di uso comune.
E non solo…Se ci si sofferma poi sui sapori, l’uso cospicuo di spezie e le note agrodolci dei piatti ci rimandano alle pietanze che imbandivano i sontuosi banchetti delle corti durante il Medioevo e fino al Rinascimento.
Ecco allora miele e frutta secca, aceto e zucchero, cannella, zafferano e spezie di ogni sorta, retaggio di un periodo della storia dell’alimentazione che in Italia ebbe fortuna nelle regioni centrali e che si diffuse poi anche nelle zone mediterranee.
Non a caso molti degli aspetti che contraddistinguono la cucina maghrebina, si ritrovano ancora oggi nella Sicilia occidentale: l’uso del sesamo, della cannella, delle melanzane, la preparazione del cous cous e del brick (pasta fillo farcita di carne, pesce o verdure) e molto altro.
Tornati dal Marocco si ha l’incredibile sensazione di collegare un colore ad un profumo, di avere ancora quella ammaliante sensazione di perdersi fra i vicoli, di sentire il calore sulla pelle e l’odore di menta.
Il Marocco ti rimane dentro l’anima, cucito addosso.
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